
Biodiverso, ovvero unico
Sulle nostre tavole, sui banchi del fruttivendolo, nei supermercati, siamo abituati a vedere carote perlopiù arancioni. Pochi sono a conoscenza del fatto che, in origine, le carote erano di colore viola, come ci indicano notizie provenienti da Afghanistan e Turchia
Solo successivamente, ed in seguito a mutazioni genetiche spontanee, gli esemplari di questa specie assunsero colorazioni più vicine all’arancio. Per avere conferma di ciò, basterebbe osservare una delle nature morte di Juan Sánchez Cotán, pittore seicentesco: raffigura proprio delle pastinache bianche e carote gialle e viola. Da tali colture potrebbe derivare la Carota di Polignano, che presenta radici con le suddette colorazioni e che fino a 10 anni fa era considerata una varietà locale a rischio di estinzione, come altre tredici colture inserite in un elenco stilato dalla Regione Puglia, su indicazione dell’ex Dipartimento di Scienze delle Produzioni vegetali dell’Università di Bari
la carota di Polignano
Da allora, anche grazie al lavoro dei ricercatori baresi, la Carota di Polignano è stata sempre più apprezzata, per le proprie caratteristiche organolettiche e nutrizionali, tanto che oggi il rischio è diametralmente opposto: si potrebbe arrivare a coltivarla in modo eccessivo e sbagliato, anche fuori dal suo areale di elezione, e a produrre una sorta di deriva genetica. In una prima pubblicazione del 2012 è stato dimostrato che, rispetto alle carote comuni, la Carota di Polignano risulta più dolce, pur avendo un valore più basso di zuccheri totali (saccarosio, glucosio e fruttosio). Inoltre, quella di colore viola, è maggiormente ricca di antiossidanti (Cefola et al., 2012). Nel 2013, in un’altra pubblicazione su una rivista internazionale, è stato illustrato un metodo per realizzare confetture di Carota di Polignano, diversamente colorate, preservando le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dell’ortaggio fresco (Renna et al., 2013). Nel 2014 le tante informazioni di etnobotanica e di caratterizzazione acquisite dai ricercatori baresi inerenti a questo ortaggio sono state raccolte in una rassegna pubblicata su una delle principali riviste scientifiche che si interessano di risorse genetiche.
Così l’attenzione per la Carota di Polignano è cresciuta, tanto quanto le richieste di semi per avviare nuove coltivazioni…, ed è stata inserita nel 2015 nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.


Carote di Tiggiano
La Carota di Tiggiano è una varietà locale coltivata quasi esclusivamente nei territori di Tiggiano (2.894 abitanti), Tricase (17.640 abitanti) e Specchia (4.873 abitanti), in provincia di Lecce.
Dobbiamo la sua sopravvivenza alla devozione popolare verso Sant’Ippazio, il santo orientale protettore della virilità maschile e che viene invocato anche per premunirsi dall’ernia inguinale. La leggenda vuole, infatti, che il Santo stesso avrebbe sofferto di questa patologia, dopo aver ricevuto un tremendo calcio nel basso ventre durante una discussione con eretici ariani. Tradizione vuole che i contadini tiggianesi seminino la pestanaca (terminologia locale con cui dai tempi dei Greci e dei Romani in diverse località del Sud Italia viene indicata la carota), in dei piccoli fazzoletti di terra, in tempo per i festeggiamenti in onore del santo patrono, il 19 gennaio. In questo giorno si tiene anche la fiera di Sant’Ippazio, la prima fiera dell’anno per tutto il basso Salento. A seguire, altri festeggiamenti avvengono nei piccoli paesi limitrofi in onore dei santi. Dopo Tiggiano i festeggiamenti si ripetono a Specchia, il 2 febbraio, per la festa della Candelora; poi è la volta di San Biagio, il 3 febbraio, a Corsano. In questo periodo di due settimane si raccoglie, si vende e si consuma la Carota di Tiggiano. Si tratta di una radice di colore viola, ricca di antocianine, soprattutto cianidine, screziata, che degrada, nella parte distale del fittone, verso l’arancione, perché è ricca anche di carotenoidi, soprattutto ß-carotene.
La forma, la dimensione e il colore, nonostante la variabilità imposta dall’ambiente, dall’epoca di semina e dalla tecnica colturale, sono piuttosto regolari, grazie alla severa azione di selezione che hanno eseguito negli anni gli agricoltori. Questi sono per lo più anziani in pensione che dedicano alla squisita pestanaca poche are, coltivate in modo semplice. Sono sufficienti una concimazione organica di fondo e tanta acqua, perché la semina venga eseguita tra luglio e agosto, per produrre pochi chili di “pestanache” per sant’Ippazio. Ritardare è impossibile: il giorno di Sant’Ippazio i fittoni devono essere esposti in piazza, davanti alla chiesa del santo, accanto alle giuggiole (un piccolo frutto che viene raccolto a settembre e conservato per consumarlo il giorno di Sant’Ippazio) per completare il rito, il simbolo allusivo di ciò che viene protetto dal santo taumaturgico. La devozione ripropone ogni anno il forte legame tra i tiggianesi e Sant’Ippazio.
Vi sono altre tradizioni popolari legate al culto del santo: in passato le mamme donavano a Sant’Ippazio tanto pane quanto era il peso del loro piccolo per il quale chiedevano la protezione dalla terribile ernia inguinale e donavano anche le mutande dei propri uomini per preservarne la virilità. Oggi, ci si limita a regalare ai propri compagni e mariti le pestanache, alludendo ai loro effetti “benefici”. Il tutto è fedelmente riportato dallo scrittore Mario Desiati, nel libro Ternitti (Mondadori, Milano, 2011), il quale descrive Sant’Ippazio come “il santo di Tiggiano, un piccolo paese di masserie dorate, protettore dell’ernia e dei coglioni, patrono al quale per voto le donne dei paesi vicini portavano le mutande dei loro mariti”. Sant’Ippazio garantisce e rafforza ogni anno la tradizione locale e l’importanza dell’antica varietà locale tramandata di generazione in generazione, che rischia di perdersi se non saranno incentivati programmi di miglioramento e valorizzazione del prodotto. Il sapere e la consuetudine di produrre lo squisito fittone sono affidati per lo più agli anziani che con passione e fatica continuano la tradizione autoproducendo il seme della pestanaca.
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